Introduzione: l’importanza della verità storica nell’ambito massonico
Tra le narrazioni che più hanno affascinato l’immaginario collettivo, tanto nel mondo profano quanto in quello iniziatico, vi è senza dubbio quella che pretende di stabilire una continuità diretta tra i Cavalieri Templari e la Massoneria. Secondo questa leggenda, i monaci-guerrieri sopravvissuti alla persecuzione del 1314 si sarebbero rifugiati in Scozia, trovando riparo tra le logge di muratori operativi e trasmettendo i loro segreti fino a trasformare la Massoneria moderna in un’erede del Tempio. Una storia suggestiva, popolata di eroi perseguitati, di conoscenze occulte salvate dal rogo e di giuramenti cavallereschi, che si è sedimentata nell’immaginario europeo fino a nutrire rituali, gradi e cerimonie.

Ma lo storico, attento al metodo e ai documenti, deve distinguere tra ciò che appartiene al dominio della leggenda e ciò che poggia su basi verificabili. Nessuna fonte medievale accredita l’idea di una sopravvivenza templare organizzata, né testimonia pratiche esoteriche che giustifichino le accuse di eresia. La leggenda nasce piuttosto nel XVIII secolo, in un contesto culturale dominato dal revival cavalleresco e da una fervida produzione letteraria che riproponeva i fasti dei Crociati e dei loro Ordini.
Analizzare i falsi miti del templarismo massonico non significa sminuire il valore simbolico che essi hanno assunto nei rituali e nella tradizione, ma riportare la questione al giusto livello: quello della costruzione culturale e immaginaria. Perché il fascino dei Templari non sta nella loro presunta sopravvivenza segreta, ma nel potere evocativo che la leggenda ha saputo esercitare per secoli, fino a trasformarsi in uno dei miti fondativi di un certo modello massonico.
Metodo e limiti: cosa risulta davvero dalla documentazione
Il lavoro dello storico si fonda su un principio elementare: ogni affermazione sul passato deve poggiare su prove verificabili, documenti, testimonianze contemporanee. È in questo quadro che la leggenda templare si rivela fragile. Non esiste, infatti, alcun atto, cronaca o fonte coeva che attesti la sopravvivenza dell’Ordine del Tempio dopo la sua soppressione da parte di Clemente V nel 1314. Né vi sono indizi che i Templari abbiano mai professato dottrine diverse dal cattolicesimo ortodosso, al quale furono legati per oltre due secoli di storia.
Le accuse di eresia, di riti oscuri e di giuramenti “esecrabili” che i processi medievali riversarono sull’Ordine devono essere lette nel contesto giuridico e politico dell’epoca: era prassi comune colpire gli imputati con accuse di devianza religiosa per piegarli all’esito già scritto del tribunale. In questo senso, la “colpa” templare è una costruzione giudiziaria, non una realtà storica.
Il limite della documentazione è chiaro: ci impedisce di scrivere storie alternative, di immaginare sopravvivenze nascoste o trasmissioni occulte. Tuttavia, la stessa assenza di prove non cancella il valore che la leggenda ha acquisito nel tempo. Ed è proprio in questa tensione tra rigore documentario e potenza del mito che si gioca l’interesse storiografico del templarismo massonico: più che un’eredità diretta, esso appare come una creazione del XVIII secolo, figlia delle mode culturali e delle esigenze simboliche del tempo.
Dopo il 1314: cosa accadde verosimilmente ai Templari
Quando l’Ordine del Tempio venne abolito, i suoi beni confiscati e i suoi vertici mandati al rogo, non vi fu alcuna “fuga nell’ombra” verso logge segrete o misteriose società iniziatiche. La sorte dei Templari sopravvissuti fu molto più ordinaria e documentata: alcuni furono assorbiti in altri ordini cavallereschi o religiosi, come gli Ospitalieri di San Giovanni, altri rientrarono nella vita laica, tornando a coltivare terre o a prestare servizio come uomini d’arme al soldo di monarchi e signori. Nessun documento medievale testimonia l’esistenza di un nucleo templare che abbia continuato ad agire dopo lo scioglimento ufficiale.
Un’eccezione, spesso citata ma ben diversa da una “sopravvivenza segreta”, si trova in Portogallo. Qui la monarchia, anziché disperdere l’Ordine, ne trasformò semplicemente il nome: i Templari divennero l’Ordine di Cristo. Con il tempo, anche questo si evolse in una prestigiosa onorificenza nazionale, svuotata del carattere militare e religioso originario, simile all’evoluzione dell’Ordine di Malta o di San Lazzaro in Francia.
Il destino dei Templari, dunque, non fu quello di tramandare in silenzio conoscenze occulte o di custodire un’eredità esoterica, ma quello, ben più comune, di dissolversi nella storia ordinaria degli ordini cavallereschi o della vita civile. In questo senso, l’assenza di tracce è di per sé eloquente: se davvero fosse esistita una trasmissione templare continua, qualche segnale sarebbe affiorato negli archivi medievali. Il mito, invece, comincerà a costruirsi solo secoli dopo.
Il Settecento riscopre la cavalleria: il contesto culturale
Per comprendere la nascita della leggenda templare in ambito massonico bisogna guardare al clima culturale del XVII e XVIII secolo. In quegli anni la cavalleria, scomparsa ormai da secoli come istituzione viva, conobbe una rinascita letteraria e simbolica. Romanzi medievali furono ripubblicati in versioni “modernizzate”, trattati storici sugli ordini cavallereschi si moltiplicarono, biblioteche e collezioni private custodivano opere monumentali che celebravano l’onore, la nobiltà e il coraggio dei cavalieri.
Il pubblico europeo accolse con entusiasmo queste pubblicazioni: dal vasto Théâtre d’Honneur et de Chevalerie di Favyn (1620) all’Histoire des ordres religieux et militaires di padre Hélyot (1714–1719), la cavalleria veniva rivisitata con spirito enciclopedico ma anche con accenti preromantici. Non si trattava più di un’esperienza storica concreta, ma di un ideale estetico e morale che affascinava aristocratici, borghesi e intellettuali.
La Massoneria del Settecento, che nasceva e si diffondeva proprio in questo contesto, non poteva restare impermeabile a tale fascino. La “cavalleria” divenne così un serbatoio simbolico, un immaginario collettivo pronto a essere adottato per rivestire di prestigio e antichità i nuovi rituali. Quando i massoni iniziarono a richiamarsi ai crociati, a seguito e ai Templari, trovarono un terreno già fertilissimo: quello di una cultura europea che aveva trasformato i cavalieri in figure mitiche, capaci di sopravvivere non più nelle campagne militari ma nella memoria e nell’immaginazione.
Massoneria e cavalleria: dai cenni di Anderson (1723) ai primi pamphlet
Il primo accenno esplicito a un legame tra Massoneria e cavalleria compare nelle Constitutions di James Anderson del 1723. In un passaggio apparentemente marginale, Anderson afferma che gli ordini cavallereschi e religiosi avrebbero attinto usi e cerimonie dalla “antica confraternita” dei massoni. È una frase breve, ma gravida di conseguenze: pur senza fornire prove, insinua l’idea che la cavalleria non fosse un corpo estraneo, bensì una derivazione della tradizione massonica.
Pochi anni dopo, nel 1724, un anonimo opuscolo irlandese — A letter from the Grand Mistress of the Female Free-Masons — elaborò ulteriormente questo nesso, arrivando a presentare la Massoneria come erede diretta della loggia di San Giovanni di Gerusalemme, con radici che risalirebbero addirittura a Fergus, leggendario re di Scozia di oltre duemila anni prima. È il tipico linguaggio della genealogia mitica: dare profondità temporale e nobiltà a un’istituzione recente, proiettandola indietro nei secoli.
Questi primi testi non parlano ancora esplicitamente dei Templari, ma pongono le basi per la futura identificazione. Affermare un rapporto tra Massoneria e cavalleria significava aprire la porta a tutte le speculazioni successive, dalle più ingenue alle più complesse. Il mito templare trovava così la sua premessa: se i massoni potevano dirsi eredi dei cavalieri, nulla impediva che fossero i successori di coloro che, tra tutti gli ordini, godevano del maggiore prestigio e del più tragico destino.
Il discorso di Ramsay (1737): crociati, San Giovanni e una fraternità sovranazionale
Un momento decisivo nella costruzione del mito cavalleresco-massonico fu il discorso pronunciato nel 1737 da Andrew Michael Ramsay, scozzese cattolico e sostenitore degli Stuart, noto anche come le chevalier Ramsay. Nel suo intervento, egli presentò i massoni come discendenti spirituali dei crociati: uomini provenienti da ogni angolo della cristianità che, uniti in Terra Santa, avevano dato vita a una fraternità capace di superare frontiere politiche e nazionali.
Ramsay descrive i crociati come i veri antenati dei liberi muratori, non solo costruttori di templi ma anche difensori della fede, pronti a impugnare la spada accanto alla cazzuola. Egli attribuì alla Massoneria una dimensione universale e cavalleresca, associandola a San Giovanni di Gerusalemme e trasformandola in una sorta di “nazione spirituale” che abbracciava tutti i popoli cristiani.
Questo discorso ebbe un’eco straordinaria. Non si trattava più soltanto di una suggestione erudita come in Anderson o nei pamphlet precedenti: Ramsay offriva una narrazione solenne, facilmente memorizzabile, che dava ai massoni un passato nobile e una missione universale. L’idea si diffuse rapidamente in Francia, Germania, Italia, Svezia e Russia, trovando terreno fertile in logge desiderose di arricchire i propri rituali con elementi di prestigio cavalleresco.
Sebbene Ramsay non parlasse direttamente di Templari, la connessione era ormai a un passo: se i massoni erano eredi dei crociati, quale ordine più naturale e affascinante da evocare se non quello dei Cavalieri del Tempio, perseguitati e avvolti dal mistero?
Dalla cavalleria ai Templari: opinione pubblica, salotti e primi parallelismi
Negli anni successivi al discorso di Ramsay, il passo dalla cavalleria generica ai Templari fu breve. L’opinione pubblica europea, stimolata da pamphlet, lettere e cronache, cominciò a stabilire parallelismi diretti tra i misteri massonici e l’Ordine del Tempio. Già nel 1737 una lettera affermava che i Liberi Muratori costituivano un nuovo Ordine molto simile a quello templare; nel 1746 un libello spiegava che i massoni, come i Templari, custodivano segreti vitali per i quali erano pronti a dare la vita.
A partire dagli anni Quaranta del Settecento, tali analogie si moltiplicarono. I Templari apparivano nei testi come vittime di un’ingiustizia storica, perseguitati da Filippo il Bello e Clemente V, e per questo assimilati ai massoni, anch’essi percepiti da alcuni come confraternita sospetta e perseguitabile. La simbologia della fedeltà, del giuramento e della segretezza trovava punti di contatto, anche se del tutto arbitrari, tra le due esperienze.
Massoni di rilievo, come Jean-Baptiste Willermoz, contribuirono a consolidare questa tradizione, parlando di gradi massonici che avrebbero trasmesso la “saggezza templare”. Non era storia documentata, ma suggestione rituale e orale che passava di bocca in bocca nelle logge e nei circoli intellettuali. Così, nel clima dei salotti illuministi, i Templari divennero sempre più il simbolo di un’eredità segreta, di un sapere occultato, che la Massoneria moderna si sarebbe incaricata di preservare.
Il primo “grado templare”: il Sublime Ordine dei Cavalieri Eletti (ca. 1750)
La leggenda templare fece il suo ingresso ufficiale nei rituali massonici attorno al 1750, con la comparsa del cosiddetto Sublime Ordine dei Cavalieri Eletti. Questo grado, ritrovato in documenti provenienti da Quimper e Poitiers, si innestava su un rito già esistente, quello dell’“Eletto dei Nove”, tra i più antichi e diffusi gradi della Massoneria francese. La novità consisteva nell’aggiunta di una cornice cavalleresca che trasformava l’Eletto in discendente dei Cavalieri Templari, custode di una missione di vendetta e di giustizia.
Il rituale, a uno sguardo moderno, appare come un collage: un intreccio di motivi già noti, a cui si aggiungono elementi templari per dare solennità e fascino. Ma nel contesto degli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento, questa sovrapposizione aveva un effetto potente. Ai fratelli che lo praticavano, rivelava che dietro il simbolismo tradizionale del Maestro Eletto si celava una “verità più alta”: la continuità con uno degli ordini cavallereschi più prestigiosi della cristianità, ingiustamente soppresso.
Tre sono i cardini della leggenda che emerge in questo grado. Primo: i Cavalieri Eletti sarebbero i diretti discendenti dei Templari. Secondo: l’Ordine del Tempio stesso non era che un anello di una catena iniziatica più antica, depositaria di una sapienza segreta. Terzo: il rifugio e la sopravvivenza di tale eredità avrebbero avuto luogo in Scozia, lontano dagli occhi della Chiesa e delle monarchie europee.
Il parallelismo tra la vendetta per l’assassinio di Hiram e la vendetta per l’ingiusta morte di Jacques de Molay consolidava il legame simbolico: entrambe le figure rappresentavano l’innocenza perseguitata e la necessità di riparare un torto storico. Non si trattava di storiografia, ma di costruzione mitica: eppure questa “rivelazione” offriva ai massoni un senso di appartenenza a una tradizione nobile, capace di trasformare un grado in una saga.
La filiazione simbolica: dal Kadosh di Morin alla trama Stuart
Il passo successivo nella costruzione del mito templare fu il grado di Cavaliere Kadosh, documentato già nel 1760 grazie al celebre rituale di Stephen Morin. In esso, il tema templare non era più solo un’aggiunta suggestiva a un grado preesistente, ma diventava il cuore di un percorso iniziatico. Il Kadosh rileggeva la vendetta per la morte di Hiram in parallelo con quella di Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro templare arso vivo a Parigi: due figure diverse, ma entrambe simbolo dell’innocenza tradita e della giustizia negata.
In questo quadro, i massoni erano chiamati non solo a custodire il ricordo, ma a coltivare un sentimento di “odio implacabile” verso i Cavalieri di Malta, considerati eredi degli avversari che avevano contribuito alla condanna dei Templari. Il grado trasformava così un episodio storico in una lezione morale e politica: la lotta contro l’ingiustizia e l’oppressione.
A questo filone si innestava un altro elemento potente: il riferimento alla dinastia Stuart. La loro caduta, seguita all’esecuzione di Carlo I e all’esilio degli eredi, veniva simbolicamente accostata alla fine tragica dei Templari. Non pochi massoni giacobiti, in particolare in Francia, videro in questo parallelismo la giustificazione di un impegno politico nascosto nelle pieghe del simbolismo.
La filiazione templare, dunque, non era solo un’operazione di immaginario cavalleresco, ma una costruzione capace di connettere mito, simbolo e politica. Dai rituali Kadosh prese forma un linguaggio che, pur privo di fondamento storico, riuscì a parlare sia al cuore simbolico dei fratelli sia alle loro speranze di rinnovamento sociale e dinastico.
Quattro famiglie templari: sistemi e geografie del mito
A partire dalla metà del XVIII secolo, il mito templare si tradusse in sistemi massonici complessi, nei quali i gradi cavallereschi occupavano una posizione di rilievo. Non si trattava più soltanto di aggiungere un colore templare a rituali già noti, ma di costruire veri e propri edifici iniziatici attorno all’eredità presunta dell’Ordine del Tempio. Possiamo distinguere, in questa fase, quattro grandi “famiglie” di sistemi templari, distribuite tra Europa continentale, Isole Britanniche e paesi nordici.
In Francia, il grado di Cavaliere Kadosh e le sue numerose varianti degli anni Sessanta del Settecento si svilupparono come evoluzioni dirette del Sublime Ordine dei Cavalieri Eletti. Il Kadosh divenne il vertice di sistemi che contavano fino a venti gradi, e tramite Stephen Morin giunse in America, dove avrebbe dato origine al cosiddetto Rito di Perfezione, antenato del Rito Scozzese Antico ed Accettato (RSAA). In quest’ultimo, il grado di Kadosh (oggi il 30° su 33) conserva ancora l’impronta templare, testimoniando la lunga fortuna del mito.
Nelle Isole Britanniche e in America, invece, prese forma il grado di Cavaliere Templare. La sua prima attestazione documentaria risale al 1769, nei registri della Saint Andrew’s Royal Arch Lodge di Boston. Curiosamente, questo grado si distingue da quello continentale: pur evocando nel nome i Templari, non menziona Jacques de Molay né sviluppa il tema della persecuzione. La cerimonia appare come una semplice investitura cavalleresca in un contesto cristiano, più legata a un ethos di fede che a un racconto mitico.
In Germania, a metà del Settecento, nacque la Stretta Osservanza, guidata da von Hund. Questo sistema rivendicava apertamente una discendenza templare, al punto da organizzarsi come “Provincia dell’Ordine del Tempio”, con titoli, gerarchie e simboli tratti dai trattati sulla cavalleria. Il successo fu notevole, ma le pretese storiche furono presto messe in discussione. Nei convegni internazionali, culminati a Wilhelmsbad nel 1782, si decise di abbandonare l’idea di una filiazione diretta. Da quella trasformazione sarebbe nato il Rito Scozzese Rettificato, che conservò l’impianto cavalleresco, pur ridimensionando il riferimento templare.
Nei paesi nordici, infine, si sviluppò il Rito Svedese, la cui codificazione risale al 1759 con Karl Friedrich Eckleff e si consolidò nel 1774 sotto la guida del duca Carlo di Södermanland. Anch’esso incorporava motivi templari, rafforzati da leggende che collegavano gli Stuart alla Gran Maestranza segreta. Il sistema sopravvive ancora oggi ed è tuttora radicato in Svezia, Norvegia e Germania.
Queste quattro “famiglie” testimoniano come il mito templare sia stato declinato in modi diversi: ora come memoria simbolica, ora come investitura religiosa, ora come costruzione istituzionale. In tutti i casi, però, il punto centrale rimane lo stesso: un’idea seducente, priva di fondamento documentario, capace però di generare interi universi rituali e organizzativi.
Un continente immaginario: rituali che si dilatano, biblioteche che confermano
Dalla metà del Settecento, la leggenda templare smise di essere un accenno marginale nei rituali e si trasformò in una vera epopea iniziatica. Il primo grado templare del 1750 dedicava appena poche righe alla storia dei Cavalieri del Tempio; ma già vent’anni dopo, nei manoscritti di Santo Domingo (1764) e nei rituali di Francken (1771, 1783, 1786), il racconto si era moltiplicato fino a riempire decine e decine di righe. In alcuni casi, come nel rituale attribuito al barone Henry Theodore Tschoudy, la “storia segreta” dei Templari occupava quasi trenta pagine.
Questo dilatarsi del testo non è un dettaglio secondario: è la prova che la leggenda templare rispondeva a un bisogno crescente, tanto nei fratelli quanto nell’opinione pubblica. I rituali non si limitavano a ripetere i pochi elementi storici noti — la fondazione dell’Ordine, le crociate, il processo e la condanna — ma li ampliavano con toni drammatici e romanzeschi. I Templari venivano presentati come vittime innocenti, depositari di un sapere proibito e custodi di segreti che la Massoneria si incaricava ora di trasmettere.
Parallelamente, le biblioteche massoniche si riempivano di trattati sugli ordini cavallereschi, dalle opere di André Favyn e Hermant ai volumi monumentali di Pierre Hélyot. Non pochi rituali invitavano esplicitamente i fratelli a leggere queste opere per approfondire il grado appena ricevuto. Ne risultava un circolo virtuoso — o vizioso — in cui i testi alimentavano i rituali, e i rituali rinviavano ai testi, creando un “continente immaginario” fatto di cavalieri perseguitati, eredi nascosti e tradizioni segrete.
Così, l’immaginazione divenne più resistente della realtà documentaria. I rituali templari non ricostruivano il passato: lo reinventavano, colmando con il mito i silenzi della storia. E in questa letteratura rituale, sempre più ampia e romanzata, il templarismo massonico trovò la sua consacrazione definitiva.
Esoterismo e ricchezze: alchimia, “testamenti” e segreti operativi
Alla leggenda storica dei Templari si aggiunse presto un altro elemento, destinato a rafforzarne l’aura: la dimensione esoterica. I rituali e i racconti che circolavano nella seconda metà del Settecento descrivevano i Templari non solo come cavalieri valorosi, ma anche come depositari di arcani segreti, eredi di conoscenze orientali apprese durante le Crociate.
Un episodio emblematico è quello delle grotte di Heredom, in Scozia, dove — secondo una narrazione diffusa — alcuni Templari perseguitati avrebbero trovato rifugio grazie ai Cavalieri di Sant’Andrea. Lì, al riparo dalle persecuzioni, avrebbero unito le loro forze fondando le prime logge di liberi muratori. Il mito si arricchiva così di una genealogia diretta: la Massoneria sarebbe nata dall’unione tra Templari sopravvissuti e cavalieri cristiani solidali.
Non mancavano neppure riferimenti a segreti alchemici e cabalistici. Nel 1777, ad esempio, circolava un presunto Testamento di Jacques de Molay, che avrebbe rivelato le “più grandi conoscenze ermetiche” in possesso dell’Ordine. La ricchezza dei Templari, a lungo oggetto di sospetto, veniva riletta come prova del loro sapere occulto: la capacità di trasmutare i metalli, di dominare le forze della natura, di attingere a un agente universale.
Queste narrazioni non avevano alcun fondamento storico, ma rispondevano a un bisogno profondo dei fratelli dell’epoca: quello di immaginare nella Massoneria non solo una comunità morale e sociale, ma anche un luogo di conoscenza segreta, capace di unire cavalleria e sapienza esoterica. Una combinazione irresistibile, che contribuì a fissare il templarismo come uno dei miti centrali dell’immaginario massonico.
I Filaleti e la “questione templare”: tradizione, prove, desideri
Nella Parigi degli anni Ottanta del Settecento, il celebre convento dei Filaleti offrì uno dei momenti più intensi di riflessione sulla leggenda templare. I fratelli riuniti in questo ambiente, attenti alle fonti e alla tradizione, discussero apertamente sul ruolo dei Templari nelle origini della Massoneria. Non si trattava più solo di accenni rituali o di narrazioni romanzesche, ma di veri e propri tentativi di costruire una genealogia storica, pur in assenza di prove documentarie solide.
Molti interventi ripresero gli elementi già presenti nei rituali del “Cavaliere Eletto”: la catena iniziatica che dall’antico Tempio di Salomone avrebbe attraversato gli Esseni, i Padri del deserto e infine i Templari, fino a giungere alle logge moderne. Si parlava di conoscenze segrete trasmesse nei secoli, di giuramenti solenni, di assemblee clandestine, di un patrimonio spirituale che la Massoneria si incaricava di custodire. In questo senso, i Templari venivano presentati come l’anello mancante tra l’antica sapienza e l’Illuminismo massonico.
Non tutti erano convinti. Alcuni, come Chefdebien, espressero dubbi sulla solidità della tradizione. Ma la maggioranza sembrava incline ad accettare il mito, complice la suggestione dei rituali e la forza di un racconto che dava profondità storica e dignità cavalleresca alla giovane Massoneria speculativa. L’assenza di documenti medievali non appariva come un ostacolo insormontabile, ma come uno spazio che la leggenda poteva riempire.
Così, nel laboratorio intellettuale dei Filaleti, la “questione templare” si affermò non come un dato storico, ma come un desiderio condiviso: l’aspirazione a riconoscersi eredi di un Ordine nobile, perseguitato e misterioso, che poteva conferire alla Massoneria un’aura di antichità e di resistenza contro le ingiustizie del potere.
La metamorfosi politica del mito: tra giustizia, vendetta e rivoluzione
Nella seconda metà del XVIII secolo, la leggenda templare non rimase confinata alla dimensione rituale o all’erudizione massonica: essa assunse anche un carattere politico. Il grado di Cavaliere Kadosh, con la sua insistenza sulla vendetta per l’ingiusta morte di Jacques de Molay, venne reinterpretato come un simbolo di lotta contro la tirannia e l’oppressione. L’eco di quel messaggio, per quanto nato in un contesto simbolico, trovò un terreno fertile in un’Europa attraversata da fermenti rivoluzionari.
Autori come Nicolas de Bonneville, con la sua Maçonnerie Écossaise et le Secret des Templiers (1788), legarono esplicitamente la Massoneria templare all’idea di giustizia sociale e di emancipazione. In questa chiave, i Templari non erano più solo cavalieri perseguitati: diventavano i precursori di un movimento che mirava a rinnovare l’umanità, liberandola dalla schiavitù politica e spirituale. La loro memoria forniva dunque una base morale per la critica alle istituzioni monarchiche e religiose.
Un altro esempio emblematico è il pamphlet di Montjoie (1796), che attribuiva l’impegno rivoluzionario del duca d’Orléans, Philippe Égalité, al fatto di essere stato ricevuto nel grado di Kadosh. Secondo questa interpretazione, il giuramento templare non era soltanto un atto iniziatico, ma una vera e propria congiura contro gli eredi di Filippo il Bello, proiettata nel presente come opposizione alla tirannide regale. La leggenda si intrecciava così con la cronaca politica, offrendo una chiave di lettura mitica agli eventi della Rivoluzione francese.
Anche il Tombeau de Jacques de Molay di Cadet de Gassicourt accentuava questo filo: i Templari, oltre a perseguire la vendetta contro gli oppressori medievali, erano presentati come alchimisti e riformatori, dediti alla scoperta dei segreti della natura e alla liberazione dell’umanità. In questo quadro, il templarismo diveniva un’arma polemica, una “memoria militante” da brandire contro l’ingiustizia.
La metamorfosi è evidente: da mito cavalleresco a dispositivo politico. I Templari divennero il simbolo della lotta per la libertà, un emblema che congiungeva l’ideale iniziatico al desiderio di trasformazione sociale. Non importava che la sopravvivenza dell’Ordine fosse una leggenda: ciò che contava era la forza evocativa di un passato ingiusto, capace di illuminare il presente.
Un fatto sociale totale: quando un’idea falsa produce effetti veri
Gli storici amano ripetere che “un’idea falsa è pur sempre un fatto reale”. Nulla illustra meglio questa massima quanto il mito templare in Massoneria. Se la sopravvivenza dell’Ordine è una leggenda priva di riscontri, la sua influenza culturale e simbolica è invece innegabile. A partire dal Settecento, l’immaginario templare ha plasmato rituali, arricchito sistemi di gradi, ispirato testi e pamphlet, e persino contribuito a dare senso politico ad alcuni movimenti rivoluzionari.
Il templarismo massonico agisce come un “fatto sociale totale”: non si limita a fornire una genealogia nobile alle logge, ma crea uno spazio simbolico in cui trovano rifugio desideri diversi — dalla sete di conoscenza esoterica al bisogno di giustizia, dall’orgoglio cavalleresco all’aspirazione rivoluzionaria. In questo senso, la leggenda non va liquidata solo come una falsità, ma interpretata come una costruzione culturale capace di produrre effetti concreti nella storia della Massoneria e, indirettamente, della società.
Tre secoli di rituali, gradi e letteratura dimostrano che i Templari non sono sopravvissuti come ordine, ma come mito. Un mito che ha resistito al razionalismo illuminista, che ha affascinato massoni progressisti e conservatori, che ancora oggi alimenta saggi, romanzi e best-seller. La sua forza non sta nella verità storica, ma nel potere di evocare valori e conflitti universali: il coraggio, la fedeltà, l’ingiustizia, la ricerca della verità nascosta.
Conclusioni: ipotesi di lavoro e una cauta contro-narrazione
Lo studio della leggenda templare in Massoneria non mira a smascherare semplicemente un inganno, ma a comprendere come e perché esso sia nato. La mancanza di documenti medievali rende impossibile sostenere la sopravvivenza storica dei Templari; ciò che resta è una costruzione immaginaria sviluppata nel XVIII secolo, in un’Europa affascinata dalla cavalleria e dalle genealogie simboliche.
Questa costruzione, tuttavia, non fu casuale. La presenza dei gradi cavallereschi già agli inizi della Massoneria speculativa mostra che la cavalleria non fu un’aggiunta tardiva, ma un elemento strutturale nella formazione dei sistemi massonici. In questo senso, non fu Ramsay o un singolo autore a inventare di sana pianta il mito, ma un contesto culturale che cercava di dare alla Massoneria un passato glorioso e un ruolo spirituale.
Lungi dall’essere un’eredità diretta dei Templari, la leggenda templare appare quindi come un dispositivo culturale, un linguaggio capace di coniugare memoria e desiderio, politica e spiritualità, mito e simbolo. È qui che lo storico, pur mantenendo la sospensione del giudizio, può cogliere il senso più profondo di questa vicenda: non la sopravvivenza dei Templari, ma la sopravvivenza di un bisogno umano di raccontare e di credere.
In definitiva, il templarismo massonico è una leggenda, ma una leggenda fertile. Ha dato forma a rituali, ha generato immaginario, ha alimentato tensioni politiche e culturali. Più che smontarla, occorre comprenderla: perché i miti, anche quando falsi, ci parlano di ciò che le società hanno bisogno di dire a se stesse.
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